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Ha giocato con la Virtus Roma, è stato miglior giocatore della allora Legadue, ed ha oltre dieci anni di Serie A e A2 alle spalle, ma l’episodio che probabilmente meglio racconta il carattere e la passione di Simone Bagnoli risale al 2015, perchè anche una finale di Coppa Italia di C può regalare emozioni e lacrime di gioia. La sua Scauri e San Severo sono sul 67 pari, Simone ha già segnato un canestro in giro e tiro dall’angolo, ma l’ultima palla è nelle mani dell’amico Dante Richotti.

Il suo tiro finisce sul ferro, ma il piccolo play argentino (ora a Gaeta, avversaria della Team Up in Silver) è il più lesto di tutti a raccogliere il rimbalzo e consegnarlo nelle mani del suo pivot, che a tempo scaduto segna il canestro della vittoria: chiuderà con 26 punti e 14 rimbalzi, un inevitabile titolo di mvp nel punto più alto della storia del piccolo club del basso Lazio e le lacrime di emozione per un’altra Coppa Italia (la terza) nella sua bacheca.

“E’ stata una liberazione da tutte le sofferenze vissute nell’ultimo anno e mezzo, venivo da un campionato a Rieti dove ancora segnavo 20 punti per gara, ma fui costretto a ritirarmi per i dolori che mi creava un’artrosi cronico – degenerativa che mi era stata diagnosticata. Dopo un anno e mezzo di stop arrivò la chiamata di Scauri, pensavo che sarei stato in grado di fare giusto qualche allenamento, ma poi firmai e fu un anno bellissimo, dove oltre la Coppa, conquistammo anche la promozione in B con un grande gruppo ed un pubblico senza troppi eguali per questo livello”.

L’inizio di un nuovo ciclo, che si spinge fino alla semifinale playoff di B contro l’Eurobasket poi promossa, la vittoria del campionato con Cassino ed una stagione a Napoli terminata solo a gara 5 di semifinale, prima dell’approdo alla IUL Basket. Col chiaro intento di riprovarci, mostrando sempre grande rispetto ed enorme passione per il gioco e tutte le sue componenti, perché, a dispetto dell’imponente taglia fisica, Bagnoli è un signore del parquet: “E’ l’aspetto a cui tengo di più, odio le simulazioni e le scorrettezze, pur avendone ricevute tante in carriera che mi hanno anche causato qualche infortunio serio, perché, specie se inferte da corporature come la mia possono davvero fare male, mentre credo di essere un “buono” anche in campo, che non ha mai fatto e mai farebbe male a nessuno”.

Qualcosa che non sfugge nemmeno agli avversari, quando capita, come sabato alla Smit, di entrare fortuitamente a contatto con un atleta più giovane. Per il resto, a 38 anni e dopo migliaia di punti segnati su ogni parquet d’Italia (impreziositi da 5 promozioni e 3 Coppe conquistate, oltre al titolo miglior italiano della Legadue nel 2005, la passione è rimasta inalterata, anche quando si tratta di dover fare atletica il martedì sera: “Ne parlavamo ieri sera col mio amico e fratello Danilo Gallerini, lì per lì abbiamo pensato che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che allenarsi, ma poi una volta in campo, come sempre, ci siamo impegnati al massimo, anche perché durante la settimana sono tanti i giovani che vengono a vederci e provare a dare loro il buon esempio è uno stimolo ancor più forte che fare bene sul parquet in partita”.

L’arrivo al Basket Roma in estate, in effetti, ha rappresentato una ventata di freschezza nella carriera del lungo toscano d’origine ma reatino d’adozione, oltre che un nuovo stimolo anche per il prosieguo dopo aver smesso di giocare: “So di non essere il semplice investimento che un qualunque club avrebbe fatto per raggiungere l’obiettivo stagionale, vittoria del campionato o salvezza che fosse, ma la parte di un progetto più ampio, che guarda ai giovani ed ha cambiato sensibilmente anche il rapporto con i miei figli (Edoardo , di 13 anni e Rebecca di 10). Non arrivo più un’ora prima dell’allenamento come in passato, ora ci passo pomeriggi interi e capita spesso che i ragazzi vogliano mostrarci i loro miglioramenti nei fondamentali, dopo averli visti fare a noi sul parquet”.

In pochi mesi, del resto, Simone è diventato un nuovo simbolo e un autentico punto fermo per chiunque passi da Viale Kant, che si tratti di insegnare ai ragazzi come tenere la posizione dentro l’area dei tre secondi o affettare salumi al bar in occasione del Basket Roma Day.

Un approdo reso possibile da un legame nato con Giuliano Maresca ai tempi delle giovanili di Roseto e resistito nel tempo alle carriere professionistiche dei due attuali compagni di squadra in maglia IUL: “L’ho sempre considerato una persona d’oro ed un ragazzo con la testa sulle spalle, quindi sono felice di aver sposato questo progetto, tanto da non aver preso nemmeno in considerazione offerte dalla B che mi sono arrivate fino ad un mese fa. E’ un ambiente che mi fa star bene con me stesso, che vogliamo far crescere, con la nostra esperienza, a favore dei ragazzi più giovani: sabato ho giocato tutto l’ultimo quarto insieme a quattro under e tirando una sola volta, perché l’assist resta l’aspetto del gioco che mi piace di più e serve a dar loro fiducia e consapevolezza di poter credere nei loro mezzi”.

Un’esperienza diversa dalle altre, che ha messo anche un po’ di sana confusione nei programmi futuri dei coniugi Bagnoli: “Con mia moglie Alessandra, prima di questa stagione l’idea era chiaramente quella di un futuro al di fuori del basket, del quale ero saturo, pur essendomi comportato sempre da professionista. Pensavo all’opportunità di diventare un piccolo imprenditore, ipotesi che, tuttavia, non esclude nuovi scenari che nel frattempo questa esperienza mi ha aperto, come quelli di diventare allenatore o dirigente. Ipotesi che IUL e Basket Roma so che possono aiutarmi a rendere concrete”.

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